Mi chiamo Fubuki
Mori.
Una volta il mio
nome aveva a che fare con le tempeste di neve e con le foreste.
Una volta vivevo
in Giappone.
Una volta
lavoravo per una megagalattica azienda giapponese.
Il giorno del mio
trentatreesimo compleanno mi sono trasferita stabilmente in un paese che
confina con il Belgio, in una città che molti occidentali della mia età e non
ricorderanno per essere stata il teatro della “drammatica” amicizia tra la
piccola montanara svizzera e la triste paralitica orfana di madre.
In questa città,
dove non mancano palazzi, tetti e comignoli, sono titolare di una piccola
azienda che si chiama “Expedit”.
Faccio la
spazzacamini.
Dove ho imparato il
mestiere? È una storia troppo lunga.
Mi sono rasata i
capelli: i clienti, di primo acchito, mi scambiano per un ragazzo cinese.
Mi aiutano nel
lavoro alcune donne che scontano, in regime di semilibertà, pene per reati
minori.
Ho preso qualche
chilo. Bevo birra. Ho molti amici ed amiche, di tutte le età.
Ogni giorno, per
puro piacere, mi alleno al tiro con l’arco. Ho molti sogni e desideri.
Immagino ci siano
diverse spiegazioni psicanalitiche per questo mio “sabotaggio”, ma non mi
interessa cercarle: un giorno ho dovuto impazzire, e sono impazzita.
So soltanto che:
1.
ora sono al
servizio del fuoco;
2.
quando lavoravo in Giappone, mi sono innamorata di
un’occidentale.
Nulla di
straordinario? Cercate di non mancare di rigore e fate un po’ più di attenzione
agli apostrofi!
Ho detto: non “un
occidentale” (di per sé già un mezzo disonore per una giapponese), ma
“un’occidentale”.
Singolare che la
mia “catastrofe” sia contenuta in un piccolo apostrofo, come il guizzo di una
rondine nel cielo.